Le poesie di Alessandro Manzoni: Aprile 1814 - Odi Civili
ID Autore: 2338 ID Testo: 8742
Testo online da domenica 10 novembre 2013
Ultima modifica del domenica 10 novembre 2013 Scritto nel 1814
Aprile 1814 - Odi Civili
Fin che il ver fu delitto, e la MenzognaCorse gridando, minacciosa il ciglio:"Io son sola che parlo, io sono il vero",Tacque il mio verso, e non mi fu vergogna,Non fu vergogna, anzi gentil consiglio;Ché non è sola lode esser sincero,Né rischio è bello senza nobil fine.Or che il superbo morsoAd onesta parola è tolto alfine,Ogni compresso affetto al labbro è corso;Or s'udrà ciò che, sotto il giogo antico,Sommesso appena esser potea discorsoAl cauto orecchio di privato amico.Toglier lo scudo de le Leggi antiqueE le da lor create, e il sacro pattoMutar come si muta un vestimento;O non mutate non serbarle, e iniqueFarle serbar benché segrete, e in attoDi chi pensa, tacendo, al tradimento;E novi statuir padri alla legge,E, perché amici ai buoni,Sperderli a guisa di spregiato gregge:Questi de' salvatori erano i doni;Questo dicean fondarne a civil vita;Qual se Italia, al chiamar d'esti AnfioniFosse dei boschi e de le tane uscita.Anzi, fatta da lor donna e reinaLa salutaro, o fosse frode o scherno:D'armi reina, io dico, e di consigli;Essa che ai piè de la imperante inchinaStavasi, e fea di sue ricchezze eternoCenso agli estranei, e de gli estrani al figli;Che regger si dovea con l'altrui cenno;Che ogni anno il suo tesoroSu l'avara ponea lance di Brenno.È ver; tributo nol dicean costoro,Men turpe nome il vincitor foggiava.Ma che monta, per Dio! Terra che l'oroPorta, costretta, allo straniero, è schiava.E svelti i figli al genitor dal fianco,E aprir loro le porte, ed esser padreDelitto, e quasi anco i sospir nocenti;E tratti in ceppi, e noverati a branco,Spinti ad offesa d'innocenti squadreCon cui meglio starieno abbracciamenti.Oh giorni! oh campi che nomar non oso!Deh! per chi mai scorreaQuel sangue onde il terren vostro è fumoso?O madri orbate, o spose, a chi cresceaNel sen custode ogni viril portato?Era tristezza esser feconde, e reaNovella il dirvi: un pargoletto è nato!Né gente or voglio cagionar de' maliChe lo stesso bevea calice d'ira,Né infonder tosco ne le piaghe aperte;Ma dico sol ch'è da pensar da qualiStrette il perdono del Signor ne tira,Perché sien maggior grazie a Lui riferte.Ché quando eran più l'onte aspre ed estreme,E al veder nostro, estintoOgni raggio parea d'umana speme;Allor fuor de la nube arduo ed accinto,Tuonando, il braccio salvator s'è mostro;Dico che Iddio coi ben pugnanti ha vinto;Che a ragion si rallegra il popol nostro.Bel mirar da le inospiti latebreGiovin raminghi al sospirato tettoCorrer securi, ed a le braccia pie;E quei che in ferri astrinse ed in tenebreL'odio potente, un motto od un sospettoAl soavi tornar colloquj e al die;E un favellar di gioja e di speranza,E su le fronti scoltaDe' concordi pensier l'alma fidanza;E il nobil fior de' generosi a scoltaDurar ne l'armi e vigilar, mostrandoCon che acceso voler la patria ascoltaQuando libero e vero è il suo dimando;E quel che a dir le sue ragioni or chiamaLunge da basso studio e da contesa,Parlar per lei com'ella è desiosa,E l'antica far chiara itala brama;Che sarà, spero, a quei possenti intesaCui par che piaccia ogni più nobil cosa.Vedi il drappello che al governo è sopra,Animoso e guardingo,Al ben di tutti aver rivolta ogni opra;E i ministri di Dio dal mite aringoNel dritto calle ragunar la greggia.Molte e gran cose in picciol fascio io stringo;Ma qual parlar sì belle opre pareggia?
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