Le poesie di Alessandro Manzoni: Del trionfo della libertà - Canto III - Poemetti
ID Autore: 2338 ID Testo: 8738
Testo online da domenica 10 novembre 2013 Ultima modifica del domenica 10 novembre 2013 Scritto nel 1801
Del trionfo della libertà - Canto III - Poemetti
I tronchi detti e il lagrimoso voltoDi quella generosa Anima bellaAvean là tutto il mio pensier raccolto,Quando tutto a sé 'l trasse una novellaTurba, che di rincontro a me venia,D'abito più recente e di favella.Confuso e irresoluto io me ne gìa,Com'uom che in terra sconosciuta mova,Che lento lento dubbiando s'avvia.Ed erano color che per la novaLibertade s'alzar fra l'alme prime,Di sé lasciando memoranda prova.Grandeggiava fra queste una sublimeAlma, come fra 'l salcio umile e l'ornoTorreggian de' cipressi alto le cime.Avea di belle piaghe il seno adorno,Che vibravan di luce accesa lampa,E fean più chiaro quel sereno giorno;Ché men rifulge il sol quando più avvampa,E sovra noi da lo stellato arringoL'orme fiammanti più diritte stampa.Allor ch'egli me vide il pie' ramingoTraggere incerto per l'ignota riva,Meditabondo, tacito e solingo,A me corse, gridando: Anima viva,Che qua se' giunta, u' solo per virtute,E per amor di Libertà s'arriva;Italia mia che fa? di sue feruteÈ sana alfine? è in Libertate? è in calma?O guerra ancor la strazia e servitute?Io prodigo le fui di non vil alma,E nel cruento suo grembo ospitaleGiacqui barbaro pondo, estrania salma.Né m'accolse nel seno il suol natale,Né dolce in su le ceneri agghiacciateIl suon discese del materno vale.Barbaro estranio tu? non son sì ingrateL'anime Italiane, e non è spentoL'antico senso in lor de la pietate.Oh qual non fece Insubria mia lamentoPiù sul tuo fato, che sul suo periglio!Ahi! con lagrime ancor me ne rammento.E te, discinta e scarmigliata, figlioChiamò, baciando il tronco amato e santo,E con la destra ti compose il ciglio.E adorò 'l tuo cipresso al quale accantoIl caro germogliò lauro e l'ulivo,Che i rai le terse del bilustre pianto.Li terse? Ahi no! ché a lei costonne un rivo,Che inondò i membri inanimati e rubriDi te, che 'n cielo e ne' bei cor se' vivo.Deh! resti a noi, dicean le rive Insubri,Deh! resti a noi, ma l'onorata spogliaTrasse Francia gelosa a' suoi delubri.Ma de l'itala sorte, onde t'invogliaTanto desio, come farò parola?Ché un seme di Tiranni vi germoglia.E sotto al giogo de la greve stolaLa gran Donna del Lazio il collo spinse,E guata le catene, e si consola.E Partenope serve a lei, che vinseIn crudeltà la Maga empia di Colco,E de' più disumani il grido estinse.Ed il Siculo e 'l Calabro bifolcoFrange a crudo signor le dure glebe,E riga di sudore il non suo solco.Al mio dir disiosa urtò la plebeUn'ombra, sì com'irco spinge e cozzaIn su l'uscita le ammucchiate zebe.Avea i luridi solchi in su la strozzaDel capestro, e la guancia scarna e smunta,E la chioma di polve e sangue sozza.E' surse de le piante in su la punta,Come chi brama violenta tocca,E uno sciame d'affetti in sen gli spunta,Ed il cor sopraffatto ne traboccaInondato e sommerso, e l'alma fuggeSu la fronte, su gli occhi e su la bocca.Poi gridò: L'empia vive, e non l'aduggeIl telo, che temuto è sì là giue?E 'l dolce lume ancor per gli occhi sugge?Né pur la pena di sue colpe lue,Ma vive, e vive trionfante, e regna:Regna, e del frutto di sue colpe frue.O tu, diss'io, che sì contra l'indegnaArdi, che in crudeltate al mondo è sola,Spiegami il duol che sì l'alma t'impregna.Più volte egli tentò formar parola,Ma sul cor ripiombò tronca la voce;Che 'l duol la sospingeva ne la gola;Sì come arretra il suo corso veloce,E spumeggia e gorgoglia onda restia,Se impedimento incontra in su la foce.Ma poi che vinse il duol la cortesia,E per le secche fauci il varco aperse,E fu spianata al ragionar la via,Gridò: Tu vuoi ch'io fuor dal seno verseIl duol, che tanto già mi punse e punge,Se pur si puote anco qua su dolerse.Ma in quale arena mai grido non giungeDi sua nequizia e de' fatti empi e rei?E sia pur, quanto esser si voglia, lunge.Io di sua crudeltà la prova fei,E giacqui ostia innocente in su l'arena,Per amor de la Patria e di Costei,Di ciò l'alma e la bocca ebbi ognor piena,Che a me fu sempre fida stella e duce,Ed or mi paga la sofferta pena.Poi che apparve un'incerta e dubbia luceSovra l'Italia addormentata, e sparve,Onde la notte nereggiò più truce,E una benigna Libertade apparve,Che al duro appena ci rapì servaggio,Indi sparì come notturne larve,Io corsi là, com'a un lontano raggioCorrendo e ansando il pellegrin s'affretta,Smarrito fra 'l notturno ermo viaggio.Ahi breve umana gioja ed imperfetta!Venne, con l'armi no, con le cateneUna ciurma di schiavi maladetta.E gli abeti secati a le RuteneCanute selve del Cumeo NettunoGravaro il dorso, e ne radean le arene.Corse fremendo ed ululando il brunoTartaro antropofàgo, che per fameSpalanca l'atro gorgozzul digiuno.E l'Anglo avaro, che mercato infameFa de le umane vite, e in quella sciarraLo spinsero de l'or le ingorde brame.Né più i solchi radea sicula marra,Né più la falce, ma le verdi biadeMieteva la cosacca scimitarra.E non bastar le peregrine spade;Ché la Patria ancor essa, ahi danno estremo!Vomitò contra sé fiere masnade.Ahi che in pensando ancor ne scoppio e fremo!Qual dal carcer sboccato e qual dal chiostro,Qual tolto al pastorale e quale al remo.Oh ciurma infame! e un porporato mostroDuce si fe' de le ribelli squadre,Celando i ferri sotto al fulgid'ostro.Costor le mani violente e ladreCommiser ne la Patria, e tutta quantaD'empie ferite ricovrir la madre.Di Libertà la tenerella piantaCrollar, sì come d'Eolo irato il figlioL'aereo pin da le radici schianta.Poscia un confuso regnava bisbiglio,Un sordo mormorar fra denti ed unaPaura, un cupo sovvolger di ciglio;Come allor che da lunge il ciel s'imbruna,Siede sul mar, che a poco a poco s'ange,Una calma che annunzia la fortuna;Mentre cigola il vento, che si frangeTra le canne palustri, e cupo e fiocoRotto dai duri massi il fiotto piange.Ma surse irata la procella, pocoDurò la calma e quel servir tranquillo;Sangue al pianto successe e ferro e foco.E l'aer muto ruppe acuto squilloAnnunziator di stragi, e sulla torreL'atro di morte sventolò vessillo.Il furor per le vie rabido scorre,E con grida i satelliti, e con cenniIncora e sprona, e a nova strage corre.Allor s'ode uno strider di bipenni,Un cupo scroscio di mannaje. Ahi comeOltre veder con questi occhi sostenni!Chi solo amò di Libertate il nome,O appena il proferì, dai sacri lariStrappato e strascinato è per le chiome.Ai casti letti venian que' sicari,Qual di lupi digiuni atro drappello,D'oro e di sangue e di null'altro avari.E invan le spose al violato ostello,Di lagrime bagnando il sen discinto,Fean con la debil man vano puntello;Ché fin fu il ferro, ahimè! cacciato e spintoEntro il seno pregnante: oh scelleranza!E il ferro, il ferro da l'orror fu vinto.Gli empj no, che con fiera dilettanzaPascean gli sguardi disiosi e cupi,E fean periglio di crudel costanza.E i pargoletti a que' feroci lupiCon un sorriso protendean le mani,Con un sorriso da spetrar le rupi.Ed essi, oh snaturati! oh in volti umaniTigri! col ferro rimovean l'amplesso,E fean le membra tenerelle a brani.Non era il grido ed il sospir concesso;Era delitto il lagrimar, delittoUn detto, un guardo ed il silenzio istesso.Morte gridava irrevocando editto.La coronata e la mitrata stizzaL'avean col sangue d'innocenti scritto.Intanto a mille eroi l'anima schizzaDal gorgozzule oppresso, e brancolandoIl tronco informe su l'arena guizza.Anelando, fremendo, mugolandoGli spirti uscien da' straziati tronchi,Non il lor danno, ma il comun plorando.Ivi sorgean due smisurati tronchi,Cui l'adunato sangue era lavacro,E d'intorno eran membri e capi cionchi.Quinci era il tronco infame a morte sacro,Irto e spumoso di sanguigna gruma,Quindi stava di Cristo il simulacro;E il percotea la fluttuante schiuma,Che fea del sangue e de la tabe il lago,Che ferve e bolle e orrendamente fuma.Fiero portento allor si vide, un vagoSpettro spinto da voglia empia ed infameLieto aggirarsi intorno al tristo brago.Avidamente pria fiutò il carname,E rallegrossi, e poi con un sogghignoGuatò de' semivivi il bulicame.Quindi il muso tuffò smilzo ed arcigno,E il diguazzò per entro a la fiumana,E il labbro si lambì gonfio e sanguigno.Come rabido lupo si distana,Se a le nari gli vien di sangue puzza,E ringhia e arrota la digiuna scana,E guata intorno sospicando, e aguzzaGli orecchi e ognor s'arretra in su i vestigi,Così colei, che di sua salma appuzzaLe viscere cruente di Parigi,Rigurgitando velenosa bava,La barbara consorte di Luigi,Venia gridando: Insana ciurma e prava,Che noi di crudi e di Tiranni incolpe,E al regno agogni, nata ad esser schiava,Godi or tuoi dritti, e de le nostre colpeIl fio tu paga, e sì dicendo morseLe membra, e rosicchiò l'ossa e le polpe.Indi da l'atro desco il grifo torseGonfia di sangue già, ma non satolla,Quando novo spettacolo si scorse.Venia uno stuolo di Leviti, collaFaccia di rabbia e di furor bollente,E inzuppata di sangue la cocolla.Ciascun reca una coppa, e d'innocenteSangue l'empiero, e le posar su l'ara.E lo vide e 'l soffrì l'Onnipossente!E disser: Bevi, e fean quegli empj a gara.Danzava intorno oscenamente Erinni,E scoteva la cappa e la tiara.E i profani s'udian rochi tintinniDe' bronzi, e l'aria, con le negre penne,Gl'infernali scotean diabolic'inni.Bramata alfine ed aspettata venneA me la morte, ed il supremo sfogoCompì su la mia spoglia la bipenne.Allora scossi l'abborrito giogo,E, l'ali aprendo a la seconda vita,Rinacqui alfin, come fenice in rogo.Ed ancor tace il mondo? ed impunitaÈ la Tigre inumana, anzi felice,E temuta dal mondo e riverita?Deh! vomiti l'accesa Etna l'ultriceFiamma, che la città fetente copra,E la penetri fino a la radice.Ma no: sol pera il delinquente, sopraLei cada il divo sdegno e sui diademi,Autori infami de l'orribil'opra.E fin da lunge ne' recessi estremi,Ove s'appiatta, e ne' covigli occultiL'oda l'empia Tiranna, odalo e tremi.E disperata mora, e ai suoi singultiNon sia che cor s'intenerisca e pieghi,E agli strazj perdoni ed a gli insulti,O dal Ciel pace a l'empia spoglia preghi;Ma l'universo al suo morir tripudi,E poca polve a l'ossa infami neghi.E l'alma dentro a le negre paludiPiombi, e sien rabbia assenzio e fel sua dape,E tutto Inferno a tormentarla sudi,Se pur tanta nequizia entro vi cape.
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