Testo online da martedì 19 marzo 2013
Ultima modifica del martedì 19 marzo 2013
Scritto nel 1903
|
Lacus Iuturnae
Settembre, chiare fresche e dolci l'acque ove il tuo delicato viso miri; e dolce m'è nella memoria il mio natale Aterno in letto d'erbe lente, e l'Amaseno quando muor domato presso l'Appia col fratel suo l'Uffente, e la Cyane ascosa tra i papÃri, e la Vella sì cara alla vitalba.
E pien di deità dai colli d'Alba lo specchio di Diana ancor mi luce. Ma un'altr'acqua al mio sogno è più divina. Quella m'attingi e ne riempi l'urna. Sotto la roggia mole palatina presso il Tempio di Castore e Polluce, occhio di Roma è il Fonte di Iuturna. Deh mio misterioso amor lontano!
Alte sul Foro nel meridiano silenzio stan le tre colonne parie come d'argento cui salsezza infoschi. Gli elci neri sul colle imperiale sembran ruine dei primevi boschi. Di ferrigno basalte arde la Via Sacra tra gli oleandri giovinetti e i sepolcreti dei Latini prisci.
Si tace il Fonte ne' suoi marmi lisci come quando Tarpeia la Vestale vi discendea con l'anfora d'argilla. Tremola il capelvenere sul tufo e sul mattone, l'acqua è glauca, tinge il suo letto lunense; una lucerta su l'ara dei Dioscuri tranquilla gode in grembo alla dea di lunga face.
Ombre delle farfalle in quella pace! Poc'acqua accolta, santità dell'Urbe! Le custodi del Fuoco sempiterno scendono alla marmorea piscina? o i Tindaridi rossi di latina strage, per beverare i due cavalli? Deh lauri nuovi! Presso il puteale crescono, nel sacrario di Iuturna.
Li veglia la Speranza taciturna.
Approfondimenti in collaborazione con:

Scopri di più su: Lacus Iuturnae di Gabriele D'annunzio
|