Testo online da martedì 19 marzo 2013
Ultima modifica del martedì 19 marzo 2013
Scritto nel 1903
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Lo stormo e il gregge
Settembre, teco io sia sul Loricino che fece blandi gli ozii del pretore: in sabbia quasi rosea fluisce scabra di rughe e sparsa di negrore come il palato del mio dolce veltro.
Sorvolano le rondini quel vetro lieve cui godon rompere coi bianchi petti: una piuma cade e corre al mare. E di là dalle verdi canne i monti di Cori son cilestri come il mare.
Forza del Lazio quanto sei soave! Obliate città dei re vetusti, atrii del Citaredo imperiale, un bel fanciullo vien con le sue capre e regna i lidi, impube re latino!
Il suo gregge è di numero divino, nero e bianco a sembianza delle frotte alate che sorvolano il bel rivo, pari olocausto al Giorno ed alla Notte. Quasi fiore l'esigua foce s'apre.
Equa ride alle rondini e alle capre.
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