Le terme
Settembre, oggi veder vorrei l'azzurro
del tuo cielo riempiere la bocca
rotonda della maschera di pietra
in cima alla colonna che si sfalda
nei secoli, convolta dal rosaio
che si sfoglia nell'ora, entro quel chiostro
quadrato che di biondo travertino
chiarisce il cotto delle antiche Terme.
Forse d'Orfeo ragionerei con Erme
sul margine del fonte ove i delfini
reggon la tazza in su le code erette;
o forse udrei l'ammonimento grave
dei due neri superstiti cipressi
ai due lor verdi cipressetti alunni
che crescono ove caddero i maggiori
percossi dalla folgore di luglio.
O forse mi parrebbe, oltre il cespuglio
soave, udire l'ansito del servo
alla stanga appaiato col giumento
circa la mola cònica di lava;
e più de' nudi torsi, e più de' busti
e più de' cippi mi sarebbe cara
l'ombra delle farfalle su pè dolii
risarciti con piombo dal colono.
Settembre, là, sul fianco del bel Trono
d'Afrodite, l'aulètride dagli occhi
a mandorla e dal seno di cotogna
sta, sovrapposta l'una all'altra coscia,
adagiata sonando le due tibie
con i frammenti dell'esperte dita;
e il Re Pastore immoto nel basalte
figge all'Eternità gli occhi corrosi.
Ronzano l'api ne' silenziosi
orti dei bianchi monaci defunti;
e nelle celle àbitano gli iddii,
lacerano le Menadi la vittima,
Anassimandro medita, dal muro
svegliasi il carme dei fratelli Arvali.
"Enos Lases iuvate". Un'ape or entra,
per la chioma di Iulia che l'illude.
Nell'alveo d'un ricciolo si chiude.
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