Testo online da martedì 19 marzo 2013
Ultima modifica del martedì 19 marzo 2013
Scritto nel 1093
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Le terme
Settembre, oggi veder vorrei l'azzurro del tuo cielo riempiere la bocca rotonda della maschera di pietra in cima alla colonna che si sfalda nei secoli, convolta dal rosaio che si sfoglia nell'ora, entro quel chiostro quadrato che di biondo travertino chiarisce il cotto delle antiche Terme.
Forse d'Orfeo ragionerei con Erme sul margine del fonte ove i delfini reggon la tazza in su le code erette; o forse udrei l'ammonimento grave dei due neri superstiti cipressi ai due lor verdi cipressetti alunni che crescono ove caddero i maggiori percossi dalla folgore di luglio.
O forse mi parrebbe, oltre il cespuglio soave, udire l'ansito del servo alla stanga appaiato col giumento circa la mola cònica di lava; e più de' nudi torsi, e più de' busti e più de' cippi mi sarebbe cara l'ombra delle farfalle su pè dolii risarciti con piombo dal colono.
Settembre, là, sul fianco del bel Trono d'Afrodite, l'aulètride dagli occhi a mandorla e dal seno di cotogna sta, sovrapposta l'una all'altra coscia, adagiata sonando le due tibie con i frammenti dell'esperte dita; e il Re Pastore immoto nel basalte figge all'Eternità gli occhi corrosi.
Ronzano l'api ne' silenziosi orti dei bianchi monaci defunti; e nelle celle àbitano gli iddii, lacerano le Menadi la vittima, Anassimandro medita, dal muro svegliasi il carme dei fratelli Arvali. "Enos Lases iuvate". Un'ape or entra, per la chioma di Iulia che l'illude.
Nell'alveo d'un ricciolo si chiude.
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