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Spirto gentil, che quelle membra reggi... (Canzoniere - LIII) - Francesco Petrarca

 

Le poesie di Francesco Petrarca: Spirto gentil, che quelle membra reggi... (Canzoniere - LIII)

Francesco Petrarca

ID Autore: 2339
ID Testo: 8546

Testo online da sabato 3 novembre 2007
Ultima modifica del sabato 3 novembre 2007
Scritto nel 13??

Spirto gentil, che quelle membra reggi... (Canzoniere - LIII)

Spirto gentil, che quelle membra reggi
dentro le qua' peregrinando alberga
un signor valoroso, accorto et saggio,
poi che se' giunto a l'onorata verga
colla qual Roma et i suoi erranti correggi,
et la richiami al suo antiquo viaggio,
io parlo a te, però ch'altrove un raggio
non veggio di vertú, ch'al mondo è spenta,
né trovo chi di mal far si vergogni.
Che s'aspetti non so, né che s'agogni,
Italia, che suoi guai non par che senta:
vecchia, otiosa et lenta,
dormirà sempre, et non fia chi la svegli?
Le man' l'avess'io avolto entro' capegli.

Non spero che già mai dal pigro sonno
mova la testa per chiamar ch'uom faccia,
sí gravemente è oppressa et di tal soma;
ma non senza destino a le tue braccia,
che scuoter forte et sollevarla ponno,
è or commesso il nostro capo Roma.
Pon' man in quella venerabil chioma
securamente, et ne le treccie sparte,
sí che la neghittosa esca del fango.
I' che dí et notte del suo strazio piango,
di mia speranza ò in te la maggior parte:
che se 'l popol di Marte
devesse al proprio honore alzar mai gli occhi,
parmi pur ch'a' tuoi dí la gratia tocchi.

L'antiche mura ch'anchor teme et ama
et trema 'l mondo, quando si rimembra
del tempo andato e 'n dietro si rivolve,
e i sassi dove fur chiuse le membra
di ta' che non saranno senza fama,
se l'universo pria non si dissolve,
et tutto quel ch'una ruina involve,
per te spera saldar ogni suo vitio.
O grandi Scipioni, o fedel Bruto,
quanto v'aggrada, s'egli è anchor venuto
romor là giú del ben locato officio!
Come cre' che Fabritio
si faccia lieto, udendo la novella!
Et dice: Roma mia sarà anchor bella.

Et se cosa di qua nel ciel si cura,
l'anime che lassú son citadine,
et ànno i corpi abandonati in terra,
del lungo odio civil ti pregan fine,
per cui la gente ben non s'assecura,
onde 'l camin a' lor tecti si serra:
che fur già sí devoti, et ora in guerra
quasi spelunca di ladron' son fatti,
tal ch'a' buon' solamente uscio si chiude,
et tra gli altari et tra le statue ignude
ogni impresa crudel par che se tratti.
Deh quanto diversi atti!
Né senza squille s'incommincia assalto,
che per Dio ringraciar fur poste in alto.

Le donne lagrimose, e 'l vulgo inerme
de la tenera etate, e i vecchi stanchi
ch'ànno sé in odio et la soverchia vita,
e i neri fraticelli e i bigi e i bianchi,
coll'altre schiere travagliate e 'nferme,
gridan: O signor nostro, aita, aita.
Et la povera gente sbigottita
ti scopre le sue piaghe a mille a mille,
ch'Anibale, non ch'altri, farian pio.
Et se ben guardi a la magion di Dio
ch'arde oggi tutta, assai poche faville
spegnendo, fien tranquille
le voglie, che si mostran sí 'nfiammate,
onde fien l'opre tue nel ciel laudate.

Orsi, lupi, leoni, aquile et serpi
ad una gran marmorea colomna
fanno noia sovente, et a sé danno.
Di costor piange quella gentil donna
che t'à chiamato a ciò che di lei sterpi
le male piante, che fiorir non sanno.
Passato è già piú che 'l millesimo anno
che 'n lei mancâr quell'anime leggiadre
che locata l'avean là dov'ell'era.
Ahi nova gente oltra misura altera,
irreverente a tanta et a tal madre!
Tu marito, tu padre:
ogni soccorso di tua man s'attende,
ché 'l maggior padre ad altr'opera intende.

Rade volte adiven ch'a l'alte imprese
fortuna ingiuriosa non contrasti,
ch'agli animosi fatti mal s'accorda.
Ora sgombrando 'l passo onde tu intrasti,
famisi perdonar molt'altre offese,
ch'almen qui da se stessa si discorda:
però che, quanto 'l mondo si ricorda,
ad huom mortal non fu aperta la via
per farsi, come a te, di fama eterno,
che puoi drizzar, s'i' non falso discerno,
in stato la piú nobil monarchia.
Quanta gloria ti fia
dir: Gli altri l'aitâr giovene et forte;
questi in vecchiezza la scampò da morte.

Sopra 'l monte Tarpeio, canzon, vedrai
un cavalier, ch'Italia tutta honora,
pensoso piú d'altrui che di se stesso.
Digli: Un che non ti vide anchor da presso,
se non come per fama huom s'innamora,
dice che Roma ognora
con gli occhi di dolor bagnati et molli
ti chier mercé da tutti sette i colli.

 

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